Il giardiniere del re

“Vedi, disse l’albero un giorno al giardiniere, sei molto lontano tu da me e molta incoscienza e’ nel tuo comportamento”.
“Come? rispose il giardiniere, ma se io faccio di tutto per nutrirti ed allevarti con amore. Questa mi sembra proprio ingratitudine”.
Non era proprio dell’albero ridere o fare dell’ironia eppure Beppe il giardiniere senti’ di essere appena tollerato, compatito e gli sovvenne come altre volte una sensazione di inutilità’ del proprio lavoro, un profondo senso di insicurezza per tutto cio’ che faceva.

Tutto questo era cominciato quando quell’impertinente e futile pioppo nato spontaneamente in quel giardino tutto invece costruito, superata velocemente l’altezza di Beppe, aveva preso a sussurrargli all’orecchio i suoi segreti mentre questi era intento al suo lavoro.

I sentimenti di Beppe erano contrastanti; il rigoglio del pioppo superava di gran lunga quello degli altri alberi del giardino della stessa età’. Il pioppo cresceva a grande velocità’ per quanto Beppe, pur avendolo notato fin da appena nato, non avesse provveduto ad irrigarlo e a concimare il terreno intorno alle radici.

“Sara’ un po’ di gelosia” si diceva Beppe dal momento che lo sentiva come un figlio alla pari delle altre piante del grande giardino che aveva personalmente allevato o che gli erano state consegnate dallo zio, pure giardiniere, assieme ai trucchi del mestiere.

Beppe era assai considerato nell’ambiente regale, poiché’ sapeva far fiorire il giardino del re in ogni stagione, ma con la vecchiaia stava diventando un po’ scorbutico e allergico ai complimenti e d’altro canto, gli angoli che lui preferiva del giardino, erano quelli in cui il suo lavoro era meno selettivo e piu’ si affidava alla spontanea forza e vitalità’ della natura.

Li’ i fiori erano piu’ piccoli e meno evidenti, il tono del verde piu’ scuro e oltre che da un maggiore senso di abbandono, il visitatore poteva essere colto da sensazioni poco piacevoli alla vista di disseccamenti o di disordinati abbracci di siepi e cespugli non si capiva se in lotta o in convivenza pacifica.

Si finiva pero’ col gradire una sosta in questi luoghi perché’ qui era piu’ forte e pregnante nell’aria il ronzio degli insetti: uno finiva con l’immergersi in quel mare soffuso di rumore, l’udito sembrava affinarsi fino a distinguere anche un leggero gocciolio e quello che all’inizio era sembrato assordante col tempo appariva non piu’ udibile del proprio respiro.

Ma Beppe non accompagnava molti visitatori in queste zone d’abbandono che anzi nascondeva al re, che per fortuna aveva tutt’altro da fare che passeggiare nel suo giardino.

Ma del pioppo si, il re se n’era accorto, per quel fastidioso episodio dei piumini.

Il nipote del re era assai delicato e dell’ultima bronchite subita dal principino durante la cattiva stagione, era stato incolpato proprio lui, il pioppo coi suoi piumini.

Chissà chi aveva causato le altre bronchiti dell’inverno, quando i piumini non c’erano ancora “si diceva Beppe; ma non esprimeva giudizi a voce alta perché’ “a ognuno il suo mestiere” e lui non era medico.

“Dunque, diceva Beppe al pioppo, se tu non producessi quei fastidiosi piumini, ti si potrebbe anche tenere nel giardino.
Cosa ti viene in mente di spargere i tuoi semi in cosi’ grande quantità’ e in ogni luogo, fin nelle narici dei bambini? Un po’ di misura non ce l’hai?”.

Allora il pioppo giudico’ che fosse venuto il momento di raccontare al suo amico Beppe una leggenda:

Milioni e milioni di anni fa, la terra e il sole fecero un’alleanza e Dio felice per questo, volle regalare ai due pianeti un segno della propria approvazione.
Decise di venire per un po’ ad abitare sulla Terra e di far si’ che questo pianeta si popolasse di vita in grado di assorbire quanta piu’ luce possibile dal sole. Anche la Terra sarebbe cosi’ diventata luminosa e il sole l’avrebbe ammirata e si sarebbe sentito fiero di quel suo continuo infuocare. Dio regalo’ alla terra una piccola fogliolina e la fogliolina compi’ il matrimonio tra i due pianeti.

Ebbe cosi’ inizio la vita vegetale.

Ora tu sai benissimo Beppe, di che pasta siamo fatti noi vegetali: esseri assai semplici nelle nostre manifestazioni esteriori, anche nell’aspetto. Concentrati nel nostro lavoro interplanetario, pochi rapporti sappiamo intrattenere con gli altri viventi che ora popolano con noi la Terra. Non per criticare il tuo lavoro, caro Beppe, tu lo sai che noi sappiamo farci tutto da soli: basta che un po’ di terra ricopra un seme, la nostra sensibilità’ ai suoi umori, la nostra capacita’ di assorbire la luce in ogni piu’ piccola cellula verde fa si’ che acqua, luce, aria siano sufficienti a farci germinare, crescere, vegetare. Voi giardinieri potete al massimo favorire o inibire le nostre naturali attitudini o selezionare tra noi chi e’ gradito alla vista e al gusto degli uomini.
Ma principalmente noi rimaniamo silenziosi testimoni divini di questa alleanza tra la terra e il sole, quasi del tutto indifferenti a tutte le altre forme di vita.

Ebbene, un albero si lamento’ un giorno di tutto questo con Dio: “Sono annoiato, disse, tutti gli altri esseri viventi si amano, si odiano, si mangiano, si fanno la guerra, di noi non si interessa nessuno”.
“Qui sta la tua superiorità’ , disse Dio, tu non hai bisogno di nessuno”. Non voglio essere superiore, disse l’albero, invidio perfino quei piccoli insetti che vivono un giorno solo ma festeggiano e amoreggiano con un loro compagno per tutte quelle ore, invidio la vita sociale e le opere collettive di tanta piccola gente”.

“Tu puoi imitare e sedurre l’insetto che ti piace di piu'” disse Dio. Quell’albero a dire il vero ci provo’ e ci riuscì’. Nella prima primavera che segui’ questo colloquio invece di produrre spazzolini di polline e pistilli come uso fare io, fabbrico’ sui suoi rami tessuti piu’ leggeri delle foglie e colorati come le ali delle farfalle, impregnati di succhi zuccherini di buon gusto per gli insetti. Dentro a queste “farfalle” colorate nascose stami e pistilli e affido’ a un curioso insetto l’accoppiamento con un altro albero e la propria riproduzione.
Cosi’ nacquero i fiori”.

“Fu una buona cosa?” chiese Beppe.
“Certo, per questa impresa alla fine quell’albero fu premiato poiché’ anche gli uomini furono colpiti dalla bellezza dei suoi fiori e lo scelsero per i loro giardini”.

“Premiato o castigato?” disse Beppe pensando a tutte le pratiche colturali praticate su piante fiorifere per forzare e aumentare la produzione di fiori.

“Dipende da che punto di vista la cosa viene considerata, rispose il pioppo, che ognuno possa essere contento del proprio destino!”.
Beppe sorrise di fronte a tanta saggezza, andò’ a prendere la vanga e ubbidendo a un preciso ordine del re disseppellì’ il pioppo, lo taglio’ con cura facendo coi rami delle belle fascine per il caminetto regale, tenne per se il tronco da utilizzare una volta essiccato, poi dalle fascine taglio’ tre ramoscelli assai vitali che pianto’ quella sera stessa vicino alla sua casetta.

Il pioppo rinacque cosi’ in tre copie e non molto tempo dovette passare prima che i vicini si lamentassero della grande produzione di piumini.

“Potali” dicevano a Beppe.
E quello: “Ormai sono in pensione, non mi va piu’ di lavorare”.
Cosi’ andò’ uno di loro, di notte, e li abbatte’ tutti e tre.
Dove c’erano i pioppi ora sembrava essere rimasto un grande vuoto, ma al giungere di un’altra primavera, una mattina all’orizzonte contro quel vuoto era possibile distinguere tutta una nevicata di piumini di pioppo. “Chissà da dove vengono” sorrise maliziosamente Beppe,

“Avevi ragione, disse al pioppo con cui aveva continuato a parlare tra se e se, il vento e’ proprio un amico sicuro”.

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